Come da tradizione, l’ultima domenica di luglio si celebra la festa in onore della Madonna d'Itria, nell'omonimo Santuario, situato sull’altopiano di Lidana, nel territorio di Gavoi.
Questo luogo sacro, come molti altri santuari campestri della Sardegna cristiana, sorge su un’area che in epoche remote fu teatro di culti nuragici.
Il paesaggio che circonda il santuario è costellato di testimonianze di quel passato arcaico: nuraghi, resti di antichi villaggi e le celebri “Domus de Janas” – tombe scavate nella roccia, tanto piccole da essere ritenute, nella tradizione popolare, dimora delle fate. Le Domus, oggi riconosciute dall’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità, sono il segno tangibile di un tempo in cui la spiritualità era legata alla terra e ai suoi misteri.
Passeggiando nel grande giardino del Santuario si coglie con evidenza il sincretismo tra antichi riti e fede cristiana. A pochi passi dalla chiesa, infatti, si erge un menhir: "Sa perda fitta", conosciuta anche come "Sa Perda de Sa Itria", una pietra eretta in epoca megalitica, dalla forte simbologia fallica, alta e imponente. È come se quella pietra osservasse da secoli, immobile e silenziosa, il fluire delle devozioni, i mutamenti della fede. Rimane lì, testimone di un credo ancestrale quasi dimenticato, e al tempo stesso simbolo della Madonna d'Itria.
La festa dura dieci giorni, tra balli tradizionali, convivialità e ospitalità nei "Muristenes" (le casette coloniche che circondano la Chiesa) e si conclude con il rito de “Sa Ghirada a caddu”, che rievoca il ritorno in paese dei novenanti.

La Festa della Madonna d'Itria tra fede e memoria antica

Se in antichità e in un passato più recente c'erano prima i carri e poi i camion, carichi di stoviglie, sedie, materassi e tutto il necessario per il soggiorno al Santuario, oggi resta soltanto la parte più suggestiva: il rito del ritorno a cavallo. Decine di giovani cavalieri, in camicia bianca e pantaloni di velluto nero, percorrono orgogliosi il cammino di ritorno, accolti al loro arrivo in Piazza "Sa Serra" da una folla in festa, assieme ai membri del Comitato e al loro stendardo, in un tripudio di gratitudine per la buona riuscita della celebrazione.
Un tempo, quando dalla Torre si scorgevano i cavalieri spuntare da "Parentele", le campane iniziavano a suonare. La gente accorreva a Sa Serra per guardarli rientrare. In piazza si faceva festa, si ballava, si sparavano colpi in aria non appena i cavalieri scendevano da Pisanu Mele o Puddis.Chi era fidanzato portava la sua ragazza a cavallo e i novenanti ritornavano con le bisacce. Era un momento atteso, partecipato, profondamente vissuto
"Giostre equestri, palii e corse a cavallo in alcune feste della Sardegna"
Tesi di laurea di Veronica Podda

Oggi, se si arriva nella piazza del Santuario prima della partenza, si può ancora assistere a un antico gesto che continua a tramandarsi, di generazione in generazione, quasi fosse sospeso nel tempo. Nessuno conosce la sua origine, né il significato preciso, ma ogni cavaliere, prima di partire, compie tre giri di buon auspicio attorno a una pietra chiamata "Sa Pranedda".
Se si osserva attentamente la pietra, la sua forma richiama i contorni del sesso femminile, simbolo della fertilità e della Madre Terra, completando, insieme al Menhir, il cerchio della fertilità.
Tutto a Sa Itria forma un perfetto equilibrio: maschile e femminile, sacro e profano, passato e presente, tradizione e modernità.
Un cerchio che si chiude e si rinnova ogni anno, sotto il segno della devozione e della memoria.